Giuseppe Di Vittorio, Peppino per gli amici, comunista, segretario della Cgil, orfano di padre, a otto anni subito capisce che solo unendo le forze dei suoi compagni di lavoro si può ottenere una paga migliore e un pezzo di pane in più. L’unità dei lavoratori, è questo il filo rosso che lega tutta la vita, incredibile e avventurosa, di questo protagonista del Novecento.
Bracciante analfabeta, sindacalista rivoluzionario, bersagliere ferito a Monte Zebio, comunista amico di Gramsci e Togliatti, combattente nella guerra di Spagna, catturato dai nazisti nella Parigi del 1938, Di Vittorio è profondamente un uomo del popolo, più che del partito. Ripeterà sempre: “Il sindacato deve essere la casa di tutti i lavoratori, perché i lavoratori non hanno colore, sono tutti uguali, hanno tutti lo stesso odore”. Per questo i cattolici lo seguono quando intuisce che è il momento di riunire nella Cgil, per la prima volta nella sua storia, comunisti, socialisti e democristiani. Per questo, durante la guerra, persino i sindacalisti fascisti gli prestano ascolto quando li incita a scioperare perché quelle paghe miserevoli affamano le famiglie italiane.
Per questo il suo carisma cresce. Lo nominano segretario della Federazione Sindacale Mondiale, viaggia per mezzo mondo, si sposa due volte, ha due figli che ama profondamente ma che non gli lesineranno dolori e critiche. Vive come un dramma umano e personale la scissione della Cgil, dopo l’attentato a Togliatti. Ma si rimbocca le maniche: “Io non mollo”, dice a quei compagni che pensano che un sindacato solo comunista in fondo sia la cosa migliore. Lui no, lui sa che quella divisione “la pagheranno tutti i lavoratori”.
La sua visione della vita, della lotta e della politica lo mette spesso in contrasto col partito e con Togliatti. Accade in Francia, durante la guerra, quando critica il patto Molotov- Ribbentrop, accade nuovamente nel 1956 quando, dopo la rivolta ungherese, invece di parteggiare per il partito, si schiera con gli insorti. Dirà: “Quelle facce di operai e lavoratori mi ricordano le facce dei braccianti di Cerignola”.
Muore a Lecco, dopo un comizio, minato da un ennesimo infarto. Quel giorno Benigno Zaccagnini, massimo esponente democristiano dirà di lui: “Sono convinto che adesso è in paradiso”.
Il film copre l’intero arco della vita del grande sindacalista, dalla morte del padre, quando a otto anni viene strappato alla scuola e destinato al lavoro nei campi come spaventacorvi, fino all’assalto alla Camera del Lavoro di Bari mentre la moglie Carolina sta dando alla luce il figlio Vindice, passando attraverso gli episodi mitici dei primi scioperi bracciantili, la fondazione della scuola serale, la morte dei compagni più stretti durante la repressione feroce per mano dei latifondisti, fino alla sua elezione a deputato nelle fila del Partito socialista, la morte di Matteotti e la fuga in esilio dopo la condanna da parte del tribunale speciale a 12 anni di carcere.
Nella 2° parte della miniserie televisiva Di Vittorio affronta l’attività politica dall’esilio a Mosca e a Parigi, la guerra di Spagna, il conflitto con il Partito Comunista a cui si era iscritto nel 1924, l’amicizia con Buozzi e Grandi, il suo arresto e vicissitudini storico-politiche che si mischieranno a travagliate vicende personali: la morte dell’adorata moglie Carolina, l’incontro con Anita, la donna, più giovane di lui di 30 anni circa, che sarà la sua compagna fino alla sua morte.